ANTONIO FILARETE E SIMONE

 

Scultori Fiorentini

 

 

Se Papa Eugenio IIII nel tempo che e' liberò fare di bronzo la porta di S. Piero di Roma, avesse fatto diligenzia in cercare di avere uomini eccellenti a questo lavoro, sí come ne' tempi suoi agevolmente poteva fare essendo pur vivi Filippo di Ser Brunellesco, Donatello et altri artefici molto rari, non sarebbe condotta quella opera in cosí sciagurata maniera, come ella si vede ne' tempi nostri. Ma forse intervenne a lui come il piú delle volte suole advenire ad una | buona parte de' principi, che, o non si intendono de le opere, o ne pigliano poco diletto. Dove se e' volessino considerare di quanta importanzia sia il fare stima delle persone eccellenti e rare nelle cose publiche, per la fama che se ne acquista, non sarebbono certo sí straccurati, né essi, né i lor ministri. Perché chi si impaccia con artefici vili et inetti, dà poca vita alla fama sua; et inoltre vituperando se stesso, fa grandissima ingiuria al publico et al secolo dove egli è nato. Credendosi resolutamente per chi vien poi, che se in quella età si fussino trovati miglior maestri, quel principe arebbe tolto piú tosto i buoni che gli inetti. E nientedimanco sapendo noi la eccellenzia de' rari ingegni del secol detto, per testimonio delle verità, sicuramente diciamo che Antonio Filarete, avendo molto piú resoluto il modo del fondere i bronzi che lo essere buono inventore di figure od ottimo disegnatore di quelle, condusse la detta porta in compagnia di Simone scultore, fratello di Donato. Il quale Simone cercò con ogni suo ingegno di imitare la maniera di esso Donato, quantunque non gli fusse concesso da la natura il venire a tanta perfezzione. Fece Simone fatiche veramente eccessive nelle due istorie di San Piero e di San Paulo della detta porta; et Antonio nella banda di dentro appiè della medesima fece una storietta, nella quale ritrasse sé et i discepoli suoi, che avendo carico uno asino di cose da godere, vanno a spasso a la vigna. Dicesi che in Roma condusse ancora di metallo molte altre cose, e fece di mezzo rilievo in San Pietro infiniti lavori per sepolture di papi; le quali nel disfare e rifare quella chiesa la maggior parte sono smarrite. In San Clemente fecero insieme una sepoltura di marmo; e Simone, retornando a Fiorenza, fece alcuni getti di metallo che andarono in Francia. Lavorò ancora nella | chiesa degli Ermini al canto alla Macine un Crocifisso da portare a processione, grande quanto il vivo, e perché e' fusse piú leggiero, lo fece di sughero. In Santa Felicita fece una Santa Maria Maddalena di terra, di braccia tre e mezzo, in penitenzia, la quale è concordata di bonissima proporzione e con bellissima notomia ricerca. Nella Nunziata lavorò in una lapida di marmo una figura di commesso di chiaro e scuro, imitando la maniera di Duccio Sanese, che fu in quel tempo cosa lodata. Mandò in Arezzo una cappelletta di terra cotta con una Nostra Donna, la quale fu posta in pieve ad una colonna, per un canonico degli Scamissi molto amatore di quella arte. Finalmente per le tante fatiche del lavorare, divenuto stanco et infermo, lo anno LV della sua età rendé la vita a colui che gliene aveva data. La qual cosa intendendo Antonio, che attendeva a finire in Roma l'opere loro, se ne dolse cordialmente, per averlo continuamente conosciuto fedelissimo nella amicizia e prontissimo a qualunque fortuna per i suoi amici. Capitò in questo tempo a Roma Giovanni Fochetta, assai celebrato pittore, che fece nella Minerva il Papa Eugenio, tenuto in quel tempo cosa bellissima, e dimesticossi assai con Antonio. Ma non andò però molto avanti la amicizia loro, perché ad Antonio una sera che ad una vigna cenavano, calò una scesa impetuosa e tanto crudele, che trovandolo in qualche disordine, lo mandò a quella altra vita di età d'anni LXVIII. Furono le loro sculture circa il MCCCCLII. |

 

 

 

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